Sei sicuro di voler diventare un Personal trainer?

Scrivo queste due righe per te che hai la passione per lo sport e stai pensando “quasi quasi” di lasciare il tuo noioso lavoro e diventare personal trainer. Le scrivo anche perché in molti mi chiedono se conviene, insomma…si guadagna?

Te lo dico subito: per fare questo lavoro devi avere una caratteristica che non puoi apprendere in nessun corso, o ce le hai o non ce le hai. Se non ce le hai sei comunque libero di fare questo mestiere, prego accomodati… ma non aspettarti di avere successo.

Ovvio, per diventare personal trainer teoricamente basta poco, lo spiego nel mio articolo “COSA SERVE PER FARE IL PERSONAL TRAINER”. Ed in quest’altro articolo spiego anche cosa vuol dire avere IL DONO DEL FORMATORE. Ma queste cose sono meno importanti se non c’è l’elemento più importante. Un elemento magico.

Se pensi di averlo, allora guadagnerai; le persone parleranno di te a cena con gli amici, parleranno di te in famiglia, parleranno di te con chiunque, e altre persone ti chiameranno. Se hai questo elemento guadagnerai bene, perché lavorando bene riceverai stima, affetto ed un feroce passaparola.

So che quando lo leggerai ti verrà spontaneo pensare che questo articolo non sia importante, perché nel mondo di oggi tutti ti vogliono vendere il corso per essere tecnico nello squat, nel deadlift…tecnico, tecnico, tecnico. Si, ok tutto bello, tutto utile. Ma il lavoro del personal trainer NON E’ QUESTO. Non per la maggior parte.

Prenditi trenta secondi e leggi fino in fondo, ti spiego come questo elemento magico si potrà manifestare nel tuo lavoro.

Vuoi sapere qual è questo elemento? Tieniti forte, è semplice quanto fantastico:

                                                                              L’amore

Ma no, non l’amore per lo sport.

Parlo dell’amore verso le persone, verso gli esseri umani, verso il prossimo.

Non dare per scontato questo elemento, non dire a te stesso, “si vabbè ce l’ho, andiamo avanti”. Ascolta quanto ti dico.

Le persone non sanno realmente quello che vogliono.

C’è una bella differenza tra la domanda e la richiesta. Ti chiedono un fisico scolpito, ma in realtà hanno bisogno di acquisire sicurezza. A volte hanno una vita relazionale difficile. Il mondo ci plasma secondo il canone estetico corrente, e allora crediamo che cambiando forma fisica saremo più apprezzati da una fidanzata, da un ex, dal mondo dei social.

E tu?

Magari all’inizio del tuo lavoro non lo capisci subito, ma poi con il tempo imparerai a leggere oltre. Quando avrai esperienza TU lo saprai che in realtà avrebbero bisogno di qualcos’ altro, ma non puoi dirglielo. Devi fare il loro gioco, e risvegliare dolcemente le loro consapevolezze.

E allora sai perché ti chiedo se sei sicuro di voler diventare personal trainer?

Perché succederà che ti deluderanno. Ti provocheranno. Ti vorranno sfidare inconsciamente. Scambieranno la tua confidenza per non-professionismo. Ti faranno arrabbiare.

Certo questo non accadrà sempre, la maggior parte dei tuoi allievi ti rispetterà. Ma basteranno due parole storte da un cliente/allievo dette nel momento sbagliato per destabilizzarti proprio in quel giorno in cui avevi bisogno di tempo per te stesso e che invece hai dedicato a lui.

Il nostro lavoro non è mai solo del “tempo in cambio di denaro”.

Mai.

Il nostro lavoro è sopratutto attenzione, parola, rapporto.

Ora ascolta:  io faccio questo lavoro da molti anni, ed ho capito come si deve comportare un trainer per avere il rispetto che merita. Lo stesso rispetto di un avvocato, di un medico, di un professionista. All’inizio è stata dura, molti si sono approfittati del mio disperato bisogno di voler raggiungere gli obiettivi che loro mi hanno chiesto. Proiettavo nel loro successo un riflesso del mio bisogno di successo. Questo accade a tutti i trainer “giovani” e questo mi portò ad accettare compromessi che, solo successivamente, ho capito che avrebbero fatto male tanto a me quanto all’allievo.

(A questo proposito, se sei un giovane trainer e ti trovi in questa situazione, scrivimi pure, sarò felice di aiutarti consigliandoti per il meglio.)

Facile allenare persone simpatiche, brillanti, giovani, fisicamente dotate. Evviva. La sagra della felicità. Ma sai qual è la differenza tra un professionista ed un dilettante? Il professionista FA ANCHE CIO’ CHE E’ MENO DIVERTENTE. Il professionista si prende in carico anche casi difficili, persone non-brillanti, persone anziane, persone timide e taciturne che non danno facili feedback. Stiamo parlando di esseri umani.

Esseri umani che hanno bisogno di essere guidati. Ed hanno scelto te, la vita li ha portati a te, sei tu il mentore che è sul loro cammino. Ti vedranno come un salvatore, a volte sadico , a volte tenero. Avranno fiducia cieca in te. Ti daranno il volante e ti diranno “guida tu”.

Poi le cose andranno avanti, ed accadrà all’improvviso, una mattina…

…ti sveglierai la mattina alle ore 6.00 per allenare quel ragazzo che ha difficoltà enormi, o quell’imprenditore un po’ antipatico. Ti sveglierai e ti guarderai allo specchio, e non vorrai andarci. Potresti dire di NO a questo cliente ed allenare le persone solo di sera, giusto? Ti renderai conto che non è una questione di soldi.

Se loro mollano con te probabilmente molleranno per sempre. Diranno: “ci ho provato, ma non c’è niente da fare, il trainer con me non ce l’ha fatta. Sono un caso disperato. Faccio bruciare le lauree”. La maggior parte chiudono così l’esperienza di cambiamento. Forse qualcuno passa ai “bibitoni” per dimagrire, o alle diete di youtube. E tu ti renderai conto di avere una responsabilità verso di loro. E allora, se vuoi diventare personal trainer, tu devi sapere tutto questo. E io ti/mi chiedo…

Perché lo fai?

Perché ami vederli cambiare. Perché ami vederli migliorare. Perchè loro non lo sanno che quando riescono ad incastrare quel bilanciere devo nascondere la commozione che mi sale nella gola, e mi giro per non fargli vedere che ho gli occhi lucidi.

Perché lo fai?

Perché ami vederle sfoggiare un top che prima non si sarebbero sognate. Perché danno senso alla tua giornata ed a tutti i tuoi sforzi. Perché riesci a sentire che stai facendo qualcosa di buono in questo mondo.

Perché li ami.

Dott. Flavio Bulgarelli

Psicologo e personal trainer

Titolare di Focus Training Studio

Personal Trainer o Personal Équipe ?

Nel tuo studio personal, o nella tua palestra, non sono presenti NUTRIZIONISTA, FISIOTERAPISTA, POSTUROLOGO, ecc. …?

CAMBIALO SUBITO! Prima che sia troppo tardi!

Il processo allenante, sia di recupero che di potenziamento delle abilità, è complesso e multifattoriale.

L’intero percorso dell’atleta necessita di una connessione di fattori così diversi tra loro, che risultano impossibili da comprendere e gestire per un’unica figura professionale.

Nascono quindi 2 domande:

Quali sono questi fattori?

Chi se ne deve occupare?

Identifichiamo i primi tre fattori da affrontare nella prima fase, quella di partenza. Forse la più delicata.

FATTORE 1 :ANALISI DEGLI OBIETTIVI E STORIA DI VITA E SPORTIVA:

se ne occupa il personal trainer, che con l’atleta/cliente analizza il motivo per cui si è rivolto al centro e si ripercorre insieme l’intera storia di vita e sportiva, ( compresa di ogni problema o infortunio pregresso, insieme al supporto del fisioterapista )

FATTORE 2: ANALISI DELLA CONDIZIONE ATTUALE

Se ne occupano:

il Trainer con test tecnico atletici,

il Fisioterapista con test biomeccanici di base e di controllo motorio,

il Posturologo con test del sistema tonico posturale e dell’assetto posturale,

il Nutrizionista con test e analisi della composizione corporea, abitudini alimentari e ricerca di patologie o problemi gravi limitanti.

FATTORE 3: PROGRAMMAZIONE OBIETTIVI E DEL PERCORSO:

L’ intera équipe si riunisce per eseguire un processo di sintesi tra dati raccolti ed obiettivi per programmare il percorso migliore e specifico per il singolo cliente/atleta.

Qualsiasi risultato è semplicemente il risultato di una EQUAZIONE: ogni componente del team è fondamentale nell’insieme ma inutile singolarmente.

Solo la collaborazione, la comunicazione, lo scambio, permette di avere una vera programmazione personalizzata e accurata sotto ogni sfumatura tecnica.

Nel nostro centro Focus Training Studio crediamo che per arrivare in fondo

LA STRADA SI COSTRUISCE INSIEME ED INSIEME LA SI PERCORRE.

Dott. Massimo Coretti

Fisioterapista specializzato in Posturologia Clinica

Barefoot trainer specialist

Che la forza sia con te. (seconda parte)

Dopo l’articolo precedente, eccoci giunti alla seconda parte dell’argomento “forza” e in questo articolo vedremo come allenarla e come essa è correlata ad altri “sistemi” del corpo (fascia, S.N.C., etc.)

I protocolli di allenamento per la forza spopolano nel web (metodo russo, kazako, americano, la programmazione ondulata, il Texas method, il Westside, il metodo delle 20 singole, etc.) e tutti sono validi, ma ogni allenamento va contestualizzato ed adattato al soggetto, quindi di mille che se ne possono trovare neanche uno potrebbe fare al caso vostro se non viene personalizzato.

Partiamo dal principio, per esprimere forza il corpo come prima cosa ha bisogno di mobilità.

Nei fatti, la mobilità (che ricordiamo non si ottiene con lo stretching) è fondamentale in quanto dei buoni range di movimento delle articolazioni non solo scongiurano eventuali danni ad esse, ma con una maggiore mobilità ci sarà l’apertura di nuove “mappe neurali” a disposizione della nostra centralina (il S.N.C. appunto), che avrà più informazioni e più recettori attivi per compiere quel movimento nel modo più economico possibile.

Dopo degli esercizi di mobilità generali ci troviamo ad affrontare in maniera più specifica il gesto atletico da compiere, che a seconda dell’allenamento potrà essere uno stacco, una panca, uno squat ma anche delle trazioni o un semplice rematore.

La strada per esprimere la massima forza in uno specifico gesto è la tecnica, da qui non si scappa. Quindi in base al vostro grado di tecnica nell’alzata imposterete il vostro allenamento; se per esempio vi approcciate per la prima volta ad un panca di sicuro il vostro allenamento non sarà incentrato sulla ricerca di un massimale o su una giornata di volume, ma bensì sarà rivolto al massimo sviluppo tecnico di quell’alzata, quindi dal set up all’unrack, dall’apertura del torace allo sticking point.

Inoltre per lavorare sulla tecnica i tempi dell’alzata devono essere lunghi, bisogna far percepire il carico al corpo e bisogna indicargli come comportarsi, facendogli sviluppare coordinazione e sinergia.

Poi, oltrepassato un periodo di apprendimento tecnico (minimo 8 settimane) si alzeranno le percentuali in modo da trasferire questa tecnica a carichi più alti, diventando capaci di muovere perfettamente carichi sempre più elevati. (questo periodo deve durare circa 3 mesi)

Dopo queste fase ha senso cercare un massimale.

Arriviamo al punto dove abbiamo appreso e automatizzato la giusta tecnica e quindi è il momento di macinare ripetizioni su ripetizioni a carichi medio-alti; l’imprinting motorio dopo questa fase ti darà effetti positivi per lunghissimi periodi.

Ricapitolando:

  • Primo approccio ad uno specifico gesto tecnico come squat o stacco? Allena la tecnica
  • mantieni questa tecnica a carichi più elevati
  • dopo aver consolidato il movimento macina volume
  • passate queste 16 settimane di volume avrai un massimale di tutto rispetto

Ora vorrei focalizzare l’attenzione su come la forza possa essere influenzata (anche negativamente) da dei sistemi complessi del nostro corpo quali:

  • sistema nervoso
  • postura
  • mobilità (già trattata)
  • Ultima, non per importanza, la FASCIA (diversa dal tessuto connettivo)

La correlazione tra sistema nervoso e forza è diretta, anzi la forza è soprattutto un’espressione di forza neurale, quindi più il nostro S.N.C. è allenato e attivo più il movimento sarà fluido e automatico esprimendo la massima forza possibile.

(ricordiamoci che è il motoneurone alfa che controlla la contrazione dei sarcomeri e non viceversa)

La postura influenza il nostro movimento sia durante la giornata sia sotto carichi, viene da sé che un corretto ritmo scapolo omerale e una mobilità di spalla buona influenzano positivamente il nostro gesto, dalla trazione alla panca allo stacco.

Per non parlare dei problemi che possono causare dei muscoli troppo accorciati (per esempio in una condizione di ipercifosi dorsale) nell’eseguire una panca o uno squat; dunque prima di approcciarsi a qualsiasi tipo di esercizio sarebbe opportuno fare uno screen della postura (anche in dinamica) e correggere eventuali errori.

Lascio per ultimo la correlazione Forza-Fascia. La fascia sta emergendo negli ultimi anni ed è una delle più grandi scoperte recenti nel campo dell’anatomia; si sta scoprendo come essa influenzi il nostro sistema corpo ad un livello molto profondo.

La fascia è composta da tessuto connettivo che percorre tutto il corpo e risponde al principio della biotensegrità. Questo tessuto è dotato di una straordinaria potenza, può accumulare e rilasciare grande energia e si stima che della forza generata da un “muscolo”, il 30-40% di essa è trasmessa attraverso il tessuto connettivo.

Il sistema mio-fasciale è inoltre responsabile dell’efficienza dei nostri gesti (atletici e non), della nostra stabilità, mobilità ed elasticità, ed ovviamente, quando è in disfunzione è responsabile delle nostre problematiche dolorose.

La nostra fascia è in continuo cambiamento, nel giro di 24 ore il nostro tessuto connettivo sarà cambiato e si sarà adattato a stimoli o richieste poste su di esso.

E se siamo costanti, dopo diversi mesi la sua struttura sarà cambiata in modo pressochè definitivo e se ne godranno i benefici in termini di movimento efficiente ed economico.

Per qualsiasi altro consiglio o chiarimento scriveteci tranquillamente, tra i contatti di questo sito troverete la nostra mail. Siamo pronti a rispondervi.

Andrea Berdini

Personal trainer specialista nel condizionamento della forza e del sistema neuromotorio

Che la forza sia con te. (prima parte)

Cos’è la forza? Come allenarla ? Ma soprattutto, qual è il suo ruolo nella nostra quotidianità?


Partiamo dal presupposto che con il termine “Forza” non ci si riferisce solamente alla forza bruta del classico bodybuilding o meglio ancora del sollevamento pesi.


La forza può essere espressa in 5 modi diversi (Bosco 1997):


-forza massima
-forza dinamica massima
-forza esplosiva
-resistenza alla forza veloce
-resistenza muscolare


Ognuna di queste “qualità” ha fattori intrinseci propri e richiede un certo tipo di
allenamento per progredire, allenamento che potrà vedere la combinazione di più qualità o la consolidazione di una di queste, ma questo lo vedremo nei prossimi articoli.
Tornando a noi: quanto è importante la Forza nella vita di tutti i giorni?
TANTO! Allenare la Forza nella suo totalità è il più grande investimento a medio/lungo
termine che possa fare un atleta, un utente medio della sala pesi o una vecchietta di 80 anni.


I parametri dell’aumento della forza sono vari :


-dimensione dei muscoli (sezione trasversa e lunghezza)
-efficienza del processo contrattile (forza/sezione)
-la cinetica dei ponti trasversi migliora
-migliorano le riserve anaerobiche
-influenze nervose (aumenta la velocità di conduzione dell’impulso grazie alla
mielinizzazione dell’assone)
-aumenta il numero delle unità motorie attive
-aumenta la coordinazione dei muscoli agonisti-antagonisti
-influenze ormonali (contano dalla pubertà in poi)
In generale un aumento della forza è importante per quanto riguarda le nostre azioni
quotidiane, azioni che vanno dall’alzarsi da una sedia a portare buste pesanti, dal chinarsi per raccogliere un oggetto ad elevare il braccio per prendere una cosa in alto (in tutti questi casi oltre che un buon livello di forza c’è bisogno di una buona mobilità).

(Fisiologia dell’esercizio fisico e dello sport, 2019)

Inoltre esistono degli studi che correlano il livello di forza con il rischio cardiovascolare.
Ad esempio in uno di questi, si è rilevato che la capacità di svolgere push up è inversamente correlata al rischio di eventi cardiovascolari entro 10 anni (in uomini di età compresa tra i 21 e 66 anni); i partecipanti che sono stati in grado di eseguire dagli 11 push-up in sù, avevano ridotto significativamente il rischio di eventi cardiovascolari successivi (Justin Yang et al. “Association Between Push-up Exercise and Future Cardiovascular Events Among Active Adult Men” Jama Network Open. 2019;2(2):e188341)


Un altro importante aspetto della forza è quello di ridurre il rischio infortuni; primo perché un aumento di quest’ultima porta ad aumentare a cascata la funzione di tutti gli organi sensoriali (tra cui fusi neuromuscolari e OTG) deputati al controllo della contrazione muscolare e quindi più “attenti” ad eventuali situazioni di “pericolo” per le nostre articolazioni e per la nostra muscolatura; secondo perché un aumento della forza interessa anche l’integrità delle nostre capsule articolari e dei nostri legamenti, che saranno, a causa di un buon allenamento, costrette a fronteggiare carichi sempre maggiori e dovranno quindi adattarsi diventando sempre più resistenti e più idratate (liquido sinoviale).

Tirando quindi le somme, la Forza va allenata in ogni sport e va fatto sotto il controllo di un Trainer o professionista adeguato che sa bene come far esprimere al massimo il nostro potenziale, ma questo lo abbiamo già spiegato nel nostro articolo .

Nel prossimo articolo, la seconda parte, analizzeremo alcune metodologie per allenare la forza. Stay tuned.

Per qualsiasi approfondimento non esitate a scriverci o passate a trovarci da Focus Training Studio.


Buon Allenamento a tutti!

Andrea Berdini

Personal trainer specialista nel condizionamento della forza e del sistema neuromotorio

Allenamento e diabete mellito: rischi e benefici.

Posso allenarmi con il diabete, a che cosa devo stare attento ma soprattutto avrò dei benefici?

Per un soggetto diabetico non è semplice approcciarsi al mondo dello sport. Attraverso moltissimi studi si evince come l’allenamento adattato a questa forma di disturbo metabolico possa indurre benefici sostanziali. Con questo articolo andremo ad analizzare lei due forme di diabete mellito e il modo in cui l’attività fisica sia in grado di migliorare la prognosi delle stesse.

LE DUE FORME DI DIABETE: il diabete è un disturbo metabolico, causato da alterazioni genetiche e da stile di vita scorretto. Esistono due tipi di diabete; diabete mellito tipo 1 e diabete mellito tipo 2 in entrambi i casi l’elemento caratterizzante è il valore ELEVATO della glicemia a digiuno “IPERGLICEMIA”

1. Il diabete mellito di tipo 1 è una malattia neurodegenerativa cronica che causa apoptosi delle cellule β del pancreas a causa di fenomeni autoimmunitari. Nel dettaglio gli anticorpi colpiscono le β-cellule, in questo modo si perde progressivamente la capacità di sintesi di insulina, così facendo il glucosio si accumula a livello ematico causando iperglicemia. In questo caso è strettamente legato a problemi di carattere genetico. Assenza di insulina in circolo, con necessita di introdurre la stessa dall’esterno sotto forma di farmaco.

2. il diabete mellito di tipo 2 è determinato da una condizione detta INSULINO-RESISTENZA, ovvero l’insulina prodotta non è efficace. Per compensare a questo disturbo il corpo produce una maggiore quantità di insulina “iperinsulinemia”, ma i valori della glicemia rimangono elevati. In questo caso il disturbo è strettamente causato da stile di vita scorretto, i soggetti in questione sono spesso obesi.

Passiamo adesso ad analizzare il punto più importante del nostro articolo, gli effetti dell’attività fisica!

L’attività fisica ed effetti su soggetti con DTM TIPO 1:

Nel soggetto con DMT1 i livelli di insulina circolanti dipendono solo dalla quantità e qualità iniettata e dal tempo che intercorre dall’ultima somministrazione. La quantità d’insulina somministrata è sempre superiore rispetto alle quantità secrete normalmente dal Pancreas. Aumenta in questo modo il rischio di ipoglicemia durante lo sforzo fisico.

Le dosi d’insulina utilizzate sono 3 per ogni pasto (insulina ultrarapida, durata 3H) e in più l’insulina basale (insulina lenta) che dovrà coprire le 24H comprese quelle notturne.

Con l’allenamento possono verificarsi due condizioni:

  1. iperglicemia
  2. ipoglicemia; condizione Più PROBABILE in quanto i livelli di insulina introdotti dall’esterno sono sempre più alti da quelli secreti fisiologicamente dal pancreas, avendo l’attività fisica effetto ipoglicemizzante ecco che le due cose combinate, se non controllate, potrebbero dare un effetto negativo sul soggetto.

Per impostare un allenamento devo dunque tenere in considerazioni alcuni fondamentali fattori:

  1. Prima di qualsiasi all’allenamento valutare il TREND GLICEMICO, valuto la glicemia 2H prima, 1H prima e subito prima dell’allenamento.
  2. Aspettare almeno 2/3h dalla somministrazione dell’insulina, prima di cominciare la seduta di allenamento
  3. Non utilizzare il distretto muscolare in cui è stata somministrata l’insulina, l’insulina tende ad essere assorbita più velocemente sull’addome
  4. Evitare ambienti troppo caldi, ad esempio saune o piscine
  5. Privilegio allenamento aerobico, utilizzo soprattutto AC.GRASSI, evitando di utilizzare il glucosio; IPOGLICEMIA.

Attività consigliata: nuoto, marcia, ginnastica, podismo, sci di fondo, ciclismo, danza, tennis, equitazione, pattinaggio.

Attività sconsigliata: sport di combattimento, sollevamento pesi, sport anaerobici, automobilismo, motociclismo, alpinismo, pugilato, sport subacquei, paracadutismo.

L’attività fisica ed effetti su soggetti con DTM TIPO 2:

La singola seduta di allenamento aumenta la sensibilità all’insulina, inducendo un miglior utilizzo del glucosio. Il miglioramento metabolico si verifica già dopo 1 settimana dall’inizio dell’allenamento, ma scompare entro 7 giorni se non continuato in maniera costante.

Soggetti con diabete in esordio possono evitare l’assunzione di farmaci (metformina) se migliorano il loro stile di vita. L’attività consigliata è di tipo intervallata, ovvero alternare 30 minuti di attività aerobica a 30 minuti di attività anaerobica.

L’attività aerobica garantisce:

  • aumento della sensibilità all’ insulina
  •  prevenzione delle malattie cardiovascolari
  • riduce i livelli di trigliceridi VLDL
  • aumenta il colesterolo “buono”HDL
  •  riduce il colesterolo”cattivo” LDL
  • riduce i livelli di pressione arteriosa in modo rilevante nei pazienti con iperinsulinemia
  •  favorisce la perdita di peso
  • aumentato flusso ematico ai tessuti insulino sensibili
  • maggiore proporzione di fibre muscolari di tipo I che sono più sensibili all’azione dell’insulina rispetto alle fibre di tipo II
  • riduzione del grasso totale ed in particolare di quello addominale “insulino-resistente”
  • aumento dell’azione postrecettoriale dell’insulina (aumento di glut4 nel muscolo e della sua traslocazione alla superficie cellulare).

L’attività anaerobica invece garantisce la sintesi di alcuni ormoni quali il testosterone e il GH che indurrà l’ossidazione degli AC. Grassi che con l’attività aerobica sono stati liberati.

L’obiettivo fondamentale è dunque la riduzione di farmaci, il miglioramento dello stile di vita con l’introduzione dell’attività fisica come fondamentale fonte di benessere.

                                                                                                                                           Maria Farina

Personal & small group trainer

Specialista in attività motorie preventive adattate

Risultati rapidissimi? No, grazie.

RIsultati rapidissimi? No, grazie.

Sembra un controsenso, ma quando vi offrono un risultato estetico, fisiologico, riabilitativo, biomeccanico, etc. in tempi così rapidi da risultare incredibili, siate sempre molto diffidenti.

RIsultati senza sforzo? No grazie

RIsultati con 30 minuti a settimana di allenamento? No grazie

Risultati utilizzando pesetti da 2 kg? No grazie

Potrei fare altri mille esempi, ma credo abbiate capito tutti a cosa mi riferisco.

Per modificare i nostri pattern motori, il nostro metabolismo, la nostra biomeccanica e il modo in cui il sistema nervoso gestisce e modula i movimenti, ci vuole tempo.

Pensate solo a questo: ciò che governa il nostro movimento è la fascia (o tessuto connettivo miofasciale) la quale ha un tempo minino di 6 mesi affinchè la sua struttura si modifichi in maniera sostanziale, ed ha bisogno di anni affinchè questi risultati siano fissati in maniera definitiva.

Se comprendete ciò, come potete pensare che poche settimane o allenamenti brevi e superficiali possano darvi qualche vero risultato?

Quando vi rivolgete ad un trainer o coach professionista affinché  si prenda cura della vostra salute, la prima cosa di cui si dovrebbe interessare non è come eseguite un back squat o proporvi 10 tabata di seguito (perchè se sudo, si sto lavorando!) ma piuttosto correggere il modo in cui vi muovete ogni giorno per migliaia di volte al giorno per centinaia di migliaia di volte all’anno.

Ogni movimento errato è un compenso, migliaia di compensi creano una disfunzione, e un mal di schiena cronico vi impedirà di allenarvi, perciò se anche aveste avuto qualche risultato, lo perderete perchè invece di andare in palestra sarete a casa pieni di antidolorifici.

I risultati DURATURI e reali si creano con costanza e dedizione, non con false promesse figlie di un marketing senza scrupoli.

Ciò che invece è possibile, è studiare metodi più rapidi per correggere gli schemi errati di movimento e accelerare l’apprendimento da parte del sistema nervoso dei nuovi pattern motori.

Da anni cerchiamo le strategie migliori per correggere il vostro movimento velocemente ma nel rispetto della vostra soggettività, se siete dei trainer e volete conoscere il nostro metodo oppure volete una valutazione gratuita trovate i nostri contatti su questo sito.

Michele Falanga 

Personal & small group trainer

Responsabile Weckmethod™ Italia

Aminoacidi ramificati. A cosa servono, e quando assumerli.

Gli aminoacidi ramificati (BCAA nell’acronimo inglese), ovvero leucina, valina e isoleucina, sono tra gli integratori più utilizzati nello sport, ormai da decenni.

Il loro uso va dagli sport di endurance, in cui avrebbero una funzione di prevenzione del catabolismo muscolare ed anche una funzione energetica, agli sport di potenza e forza muscolare, per via della loro indubbia funzione di miglioramento del recupero a livello soprattutto muscolare. Nelle attività di ultra endurance, sono utilizzati anche per il loro effetto di riduzione della fatica centrale, ossia del fenomeno a carico del nostro sistema nervoso, responsabile del segnale di stanchezza generale che spesso determina il segnale di stop definitivo alla prestazione atletica.

Ma si sa, non esiste un re che possa regnare a lungo senza che qualcuno provi a detronizzarlo, e ultimamente alcune voci si sono levate per mettere in dubbio l’utilità dei BCAA e forse anche la loro sicurezza.

Gli aminoacidi ramificati sono inutili, dunque ?

Il loro utilizzo è addirittura pericoloso ?

Decenni di ricerca scientifica sono stati davvero mal indirizzati ?

Nella ricerca scientifica il dubbio è il primo motore e noi cercheremo di fare chiarezza.

Gli aminoacidi ramificati fanno parte dei cosiddetti aminoacidi essenziali, chiamati in questo modo perché il corpo non può produrli a partire da altri substrati biochimici, ma deve riceverli attraverso l’alimentazione. Da soli, costituiscono circa un terzo delle proteine muscolari e questo gli conferisce già un primo ruolo importante nei meccanismi di turnover proteico, in quei processi cioè in cui le proteine corporee vengono continuamente disassemblate e ricostruite per rimuovere strutture eventualmente danneggiate. Se l’apporto di aminoacidi essenziali non è costante e quantitativamente soddisfacente, la proteina non può semplicemente essere assemblata e sostituita, o può farlo solo a spese di altre strutture proteiche del corpo. Ma questo fenomeno si chiama catabolismo e spesso non è l’ottimale per lo sportivo che vuole recuperare.

Attività fisica intensa e/o sostenuta o protocolli di digiuno intermittente (sempre più adottati anche da atleti di alto livello) possono esaltare questo fenomeno catabolico, rendendo l’integrazione di BCAA ancora più importante.

Inoltre sappiamo che gli aminoacidi ramificati stimolano l’attività del recettore dell’insulina solo nelle cellule muscolari e non a livello di cellule adipose o epatiche.

Questo determina un traffico deviato di nutrienti verso la cellula muscolare, per attivazione differenziale dell’azione dell’insulina, che veicolerebbe aminoacidi stessi, ma anche zuccheri, nella cellula muscolare, con un aumento del recupero muscolare dovuto contemporaneamente ad un’azione anabolica e di ripristino dei livelli di glicogeno (carburante muscolare). Mettiamo poi che quest’ultimo processo avviene con una velocità e un’efficienza quasi doppia nelle due ore che seguono la fine di una sessione di allenamento, quindi l’integrazione di BCAA in questa finestra temporale potrebbe essere un’opportunità di recupero unica e insostituibile.

È il concetto di TIMING dei nutrienti.

Non conta solo COSA assumiamo con la nostra alimentazione, o QUANTO ne assumiamo, ma anche QUANDO lo assumiamo. Il giusto TIMING rende l’assunzione di nutrienti (dal cibo o dagli integratori) più efficace e anche più sicura.

Ma questo sarà argomento di una prossima discussione.

Dott. Andrea D’Alonzo – Biologo Nutrizionista.

Allenarsi dopo una contrattura

Le contratture, spesso scambiate con strappi e stiramenti (molto più dolorosi e probloematici) sono molto comuni soprattutto negli sportivi “della domenica” ma non solo.
Amatori ma talvolta anche agonisti troppo precipitosi possono incappare in questo problema.

Cos’è una contrattura?
Non è altro che uno spasmo prodotto da muscolo a causa di un attività che lo mette in allarme, ad esempio un allungamento eccessivo o un movimento brusco in accelerazione, e che blocca il muscolo in una posizione accorciata di protezione.
Questo irrigidimento e accorciamento di protezione improvviso rimarrà per diverso tempo bloccando inoltre il circolo del sangue in quel punto e  comporterà quel tipico fastidio che avvertiamo.

Come posso allenarmi in seguito ad una contrattura?
Generalmente il tempo di latenza per risolvere una contrattura varia dai 3 ai 7 giorni, nel frattempo per migliorare la velocità di guarigione, più che allenarci, possiamo utilizzare delle piccole strategie:

-Calore:
Applicare del calore sul muscolo contratto, il calore infatti aiuterà il tessuto a distendersi e a tornare alla sua tensione normale.

-Massaggio:
 il massaggio localizzato favorisce l’afflusso di sangue sulla zona attualmente ischemizzata, ammorbidendo anche il tessuto fasciale che lo circonda, inoltre fornisce uno stimolo di rilascio anche sui recettori del muscolo stesso.

-Allenamento Aerobico:
effettuare una corsetta o un leggero allenamento senza sovraccarico sulla zona contratta può aiutare poiché non solo aumenta la circolazione periferica ossigenando la zona e rimuovendo cataboliti, ma il corpo scaldandosi beneficierà degli effetti descritti in precedenza del calore

-Stretching leggero:
con le dovute accortezze, lavorando sulla zona in maniera progressiva possiamo favorire il ritorno delle fibre muscolari alla lunghezza normale(consigliato come ultimo step!)

E DOPO?
La parola d’ordine è e sarà sempre GRADUALITA’
Dedicate qualche minuto ad inizio allenamento al preparare i tessuti al lavoro.
Massaggiatevi, fate mobilità articolare e stretching dinamico ed arrivate gradualmente alla giusta intensità di allenamento!

 

Dott. Matteo Di Cuffa – Posturologo

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Un attrezzo magico: sotto i tuoi occhi da sempre e non te ne sei accorto.

No, non siamo di quelli che ti tengono ore sulle spine in pieno stile “marketing spicciolo”.

Te lo diciamo subito di cosa stiamo parlando: del BOSU, e il 90% dei trainer italiani non sa di preciso come si usa.

Se credi che il Bosu sia quella mezza sfera blu inventata da David Weck intorno al 2000, hai ragione a metà.

Forse non sai che ce n’è una nuova versione molto più interessante, frutto di più di 10 anni di studi che si chiama Bosu Elite e fa parte insieme ad altre attrezzature del moderno “Weck Method”.

Le sue caratteristiche lo rendono uno strumento indispensabile e rivoluzionario per chi, come noi, lavora nel campo del movimento umano.

Sfruttando il “Limit Force Elastic Training” tramite il concetto di fattore esponenziale di accelerazione (tipico di alcuni materiali elastici) accende il sistema nervoso ed il suo effetto è pressoché istantaneo.

Questo si traduce in un miglioramento del movimento e della biomeccanica che resta impresso nel sistema nervoso in maniera duratura.

Tra i suoi mille esercizi oggi parliamo del “Compression Squat”.

Posizionandoci sul Bosu Elite con i piedi a 45 gradi (formando quindi un angolo di 90 gradi), i talloni che si sfiorano ed effettuando una spinta dell’avampiede nella zona detta dei “Green Dots” si avranno questi benefici:

–         Ripristino dell’appoggio corretto con relativo miglioramento della biomeccanica della locomozione

–         Ripristino del collegamento mio fasciale e relativa trasmissione delle energie dal core agli arti inferiori e viceversa

–         Attivazione profonda istantanea catena posteriore e adduttori

 

Per questi e mille altri motivi questo tipo di esercizi sul Bosu Elite vengono anche chiamati “Primer”, per la loro capacità di attivarci ed ottimizzarci velocemente rendendoci così pronti per affrontare un allenamento intenso tramite una maggiore attivazione profonda muscolare e mio fasciale.

Questo è solo uno dei tanti esercizi che il Bosu Elite ci permette, unico nel suo genere, di effettuare, ed è talmente efficace che sta entrando prepotentemente nei protocolli di riabilitazione di trainer, coach e fisioterapisti.

 

Se hai voglia di saperne di più non esitare a contattarci o passa a trovarci, siamo felici di condividere conoscenze e studi con tutti. sia colleghi personal trainer che amatori.

Michele Falanga 

Personal & small group trainer

Responsabile Weckmethod™ Italia

Non ci sono dubbi a riguardo!

Non ci sono dubbi a riguardo: usate le metodiche e i protocolli dell’allenamento funzionale e avrete successo con i vostri clienti.

Vediamo perché.

 

Partiamo dal fatto che il mondo del bodybuilding e dell’allenamento classico in sala pesi affascina solo una piccola percentuale delle persone che si allenano.
Ciò che accomuna queste persone è “come” vivono il lavoro in sala pesi:

1-  È noioso (sembra banale, invece è determinante. Una persona che si annoia non avrà mai risultati).

2- Sentono di non avere accesso alle piene potenzialità del proprio corpo.

E hanno ragione su questo!
L’allenamento classico in sala pesi ha come obiettivo principale l’isolamento muscolare, e quindi la ricerca estrema dell’esercizio solo per il deltoide, solo per i bicipiti e così via…. Il corpo viene visto come tanti piccoli segmenti che lavorano indipendentemente dagli altri.

L’allenamento funzionale ha come scopo quello di sviluppare capacità sfruttando lunghe catene muscolari. Come si traduce? Guadagno di forza, di mobilità, di equilibrio e coordinazione.
Non lo dico io; lo dice la letteratura scientifica e lo dicono i fatti. Su questo non ci piove.

Chiariamo anche un’altra cosa che molto spesso crea fraintendimenti:
ALLENAMENTO FUNZIONALE non vuol dire kettlebell, non vuol dire corpo libero, non vuol dire trx.
Ovviamente ci sono attrezzi che si prestano più di altri per compiere gli esercizi tipici del funzionale, ma non è l’attrezzo a fare l’allenamento, sono i concetti e le metodiche usate!

Cosa vuol dire allora allenamento funzionale? Semplicemente effettuare esercizi secondo la funzione di queste grandi catene muscolari, le quali collaborano al fine di eseguire gesti complessi, ma che rispettano la natura del nostro sistema corpo.